Mi sono interessato a “The Filter Bubble” dopo aver letto l’articolo di Marco Massarotto uscito nell’agosto scorso su Chefuturo!
Sul libro – pubblicato in Italia da Il Saggiatore con il titolo “Il Filtro” – è stato scritto molto, e leggendo la recensione di Luca De Biase ho scoperto quelle di Cory Doctorow su Boing Boing, Evgeny Morozov sul New York Times e Jacob Weinsberg su Slate.
Il libro è un’analisi di ciò che il web potrebbe rappresentare ( oforse rappresenta già) per tutti noi: non più occasione di crescita, aperta e condivisa, ma filtro, filtro pernicioso e strumento di differenziazione informativa, quindi – in ultima analisi – di discriminazione.
La tesi è che su Internet sempre più ci viene mostrato solo ciò che attiene ai nostri interessi – cosa che rendiamo nota attraverso ciò che pubblichiamo e i siti che visitiamo – e tutto questo finisce per creare una enorme distorsione nella nostra percezione della realtà.
Questo non solo da parte nostra, ma anche da parte di chi gestisce le informazioni, e le propone/vende ad altri, suggerendo implicitamente conclusioni sul nostro conto non corrette.
Un esempio? La faccio un po’ sempliciotta, ma non credo di sbagliare di molto:
Secondo Pariser, se su Facebook sono amico di qualcuno che ha avuto problemi a rimborsare un pagamento rateale, un ente finanziario che utilizza banche dati provenienti dalla rete potrebbe ritenermi un cattivo pagatore, e rifiutarmi un credito, sulla base di queste evidenze.
Non male, no?
Eli Pariser ha vissuto tutto il web “bello”, facendo della rete lo strumento del suo attivismo civile, in qualità di fondatore del movimento americano Move On, e da conoscitore delle dinamiche della rete vi ravvisa oggi (anzi, vi ha ravvisato nel 2011, data in cui è uscito il libro) dei pericoli piuttosto sostanziali.
Per difendersi da questa “bolla”, il sito filterbubble.com suggerisce, in un post del 2012, dieci cose che è possibile fare, mentre qui trovate alcuni suggerimenti di Vincenzo Cosenza.
Non so dire se il libro racconta uno scenario potenziale o descrive qualcosa di già reale; devo dire che, sommando la paurosa quantità di informazioni che immettiamo in rete tutti i giorni all’appetibilità di questi dati sul mercato, riesce difficile credere che il web si mantenga quell’ambiente aperto e libero come molti di noi amano credere.
Pariser racconta molto bene le sue tesi, e davvero questo libro fa riflettere, tanto più si è presenti in rete.
Tra le molte cose che mi sono piaciute, la carrellata sull’etica hacker – vera e propria matrice culturale di un preciso modo di pensare la Rete – e i tentativi di approfondire la conoscenza di quanto davvero Google potrebbe “farci male”, se volesse (fa impressione il passaggio dove Pariser fa capire, in modo nemmeno troppo velato, che forse certi aspetti sfuggono al controllo anche all’interno della stessa big G).
Da qui nasce spontanea la domanda: come essere sicuri di essere al sicuro?
Di seguito trovate anche il video della presentazione al TED, mentre questo è il libro in una frase, come faccio sempre:
Se su Internet stai usando un servizio che non costa nulla, significa che il prodotto in vendita sei tu.
Come dicevano nel film omonimo, good night and good luck.
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