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Vita Sostenibile

Libro COworking Massimo Carraro Cowo

Mentre ringrazio l’autore di “Coworking Progress – Il Futuro è arrivato”, Riccardo Valentino, per avermi invitato a scrivere una pagina del suo libro sul coworking, realizzo che non ho mai raccontato per quali motivi ho fondato la rete Cowo.

Lo faccio qui, oltre che a pag. 73 del libro 🙂

Lo confesso: ho fondato la rete Cowo per motivi di bieco interesse personale.
Condivisione collaborativa? Piattaforma condivisa? Co-opetition?

Ma quando mai.

Fin dall’inizio ho avuto – e continuo ad avere – una sola cosa in testa, nient’altro che un risultato personale.

Io volevo creare il mio mondo.

Prima di condannarmi, concedetemi – come si fa – una piccola requisitoria difensiva.

Sono un copywriter, ho lavorato molti anni nelle multinazionali della pubblicità.
Quel tipo di posto dove un battito d’ali a Wall Street causa un terremoto (di licenziamenti) a Milano.
Poi sono diventato free-lance. Ho scoperto le gioie del “bonus-malus”, cioè quando lavori giorno e notte 15 giorni per una gara che, se viene persa guadagni zero; se viene vinta guadagni quasi zero.

Poi ho aperto la mia agenzia e ho iniziato a divertirmi con gli… studi di settore.

Ci sono cose che rendono il lavoro un inferno, soprattutto per chi lo ama profondamente.

Allora sono partito.

Per un mondo che non esisteva.

E, visto che non esisteva, ho iniziato a costruirmelo.

Partivo già bene, in realtà, grazie a tre cose: una persona eccezionale al mio fianco, un bell’ufficio a Milano, un blog su WordPress.com.

5 anni dopo, siamo in 77 spazi di coworking in 46 città [NdA: nel frattempo siamo diventati 88 in 53 città], ma l’importante non è questo.

L’importante è che ho capito che siamo in tanti ad aver voglia di costruire un mondo diverso, cominciando da una scrivania in coworking e da poche regole condivise:

CowoManifesto – Cos’è il coworking per Cowo

  1. “Coworking”, senza le persone che lo praticano, è solo una parola.
  2. Rendiamo il lavoro un’esperienza migliore, grazie alla condivisione quotidiana di spazi e conoscenze.
  3. I coworker non sono clienti. Sono professionisti che lavorano con te.
  4. Facciamo parte di una community allargata, e dialoghiamo.
  5. Nel nostro modello, la relazione viene prima del business.
  6. I nostri skill professionali sono costantemente migliorati dalla community.
  7. Non crediamo nella competizione, e questo ci rende estremamente competitivi.
  8. Il coworking gode della migliore strategia di marketing che si possa immaginare: la felicità.
  9. Il coworking è sempre l’inizio di qualcosa.
  10. “Coworking is a labour of love” (Tara Hunt)

E ora, la parola a chi sta lavorando per questo.

Buona lettura.

Massimo Carraro, giugno 2013

Non so se il libro, appena presentato a Milano (e su Twitter), sia già disponibile online.

Per chi volesse informazioni può scrivere una mail all’editore, Nomos Edizioni di Busto Arsizio (Varese).

 

 

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Ho la fortuna, con Monkey, di essere coinvolto nel progetto di rilancio della manifattura italiana Design-Apart, che presto disvelerà le sue meraviglie alla città di New York (angolo 25th and 6th)

Questo video è un esempio splendido di storytelling artigiano, come e meglio dei video Made by Hand che ammiriamo tutti: bravi ozeta!

[vimeo 75858292]

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Sono passati 4 anni dal primo BarCamp sul coworking, organizzato da Cowo il 17 aprile 2010.

Non eravamo tanto sicuri di noi, quindi lanciammo il tema “Di Cosa Parliamo Quando Parliamo di Coworking”.

Io portai le slides qui sotto.

Tutte le altre presentazioni di quella bellissima giornata le trovate qui, mentre  qui c’è la pagina di BarCamp.org con i relatori e il programma.

La partecipazione, nonostante fosse la prima volta, fu buona: vennero da tutto il nord Italia, e si presentarono anche The Hub Milano e La Pillola400 di Bologna.

Ci fu perfino uno sponsor: Lago.

[slideshare id=3774289&doc=max-100419065359-phpapp02]

2011

L’anno dopo, 2011, ci sembrava di essere già avanti, al punto da chiederci “A Che Punto è il Coworking”.

Qui sotto la mia presentazione, qui tutte le presentazioni del CowoCamp 2011, invece qui la pagina su BarCamp.org.

Fu il primo CowoCamp nella nostra sede di Via Ventura, a Milano: riempimmo il Cowo, per l’occasione riadattato a spazio eventi, e Bonduelle ci offrì le insalate per il pranzo 🙂

[slideshare id=7653718&doc=cowocamp-110417032246-phpapp02]

2012

Arrivati al 2012, avevamo voglia di capire gli aspetti economici, quindi ci focalizzammo su “Il Coworking Visto dal Portafogli”.

Nelle mie slides di apertura, che ripubblico qui, compare per la prima volta il “giro d’affari” creato da Cowo con la sua rete:  quasi 400mila euro!

Oggi – grazie alla crescita ulteriore del network – sono diventati oltre 500.000. It’s the Cowo Economy, baby 😉

Alcune presentazioni del CowoCamp 2012 sono pubblicate a questo link, mentre qui c’è la pagina relativa su BarCamp.org.

Degna di nota la comparsa di un’istituzione a un nostro Camp: Il Comune di Milano venne a raccontare cos’aveva in mente.

Stuporone!

[slideshare id=12981342&doc=cowocamp2012-120518054618-phpapp02]

2013

Ed arriviamo al CowoCamp di pochi giorni fa.

Il ricordo di quell’auditorium stipato (90 persone sedute + gente in piedi) e delle 22 presentazioni una dopo l’altra è ancora vivido.

Come tema, ci siamo chiesti: “Ma il Coworking Crea Valore?”

Mi piace pensare che il valore di Cowo lo andiamo costruendo anno dopo anno, tutti insieme.

Siamo o non siamo una rete?

Le presentazioni del CowoCamp 2013 sono qui, la pagina BarCamp è qui.

[slideshare id=23775857&doc=carraro-130702040710-phpapp02]

SlideShare

Infine, se non ne avete ancora abbastanza, sul canale SlideShare di Cowo trovate 54 presentazioni sul coworking, in italiano e altre lingue 🙂

Enjoy!

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Barcamp Yangon 2012

Ma i BarCamp si usano ancora?

mi scoprivo a chiedermi e a chiedere, qualche settimana fa.

Io non ne ho mai frequentati molti, ma qualcuno sì.

Una piccola serie l’ho anche organizzata: i CowoCamp, barcamp sul coworking 2010, 2011, 2012.

Ma ero in dubbio, il concetto BarCamp è nato nel 2005, un’epoca fa (per dire, il dominio Facebook.com era ancora in vendita).

Poi ho ripensato alla bellezza del concetto “Nessuno spettatore, tutti partecipanti”. A quella cosa così semplice e magica della “nonconferenza” (come fai a non pensare al noncompleanno?)

A quelle regole (vedi sotto), alcune così straordinarie, almeno per me, tipo:

Introduzioni di sole tre parole

E allora, anche se disubbideremo alla 6a regola, perché di presentazioni ne abbiamo già parecchie prenotate nonostante l’evento sia stato aperto, due giorni fa… allora è deciso: si fa il quarto CowoCamp nazionale, e sarà un Barcamp.

BarCamp Coworking Milano Giugno 2013 CowoCamp

Don’t forget:

  • 1st Rule: You do talk about BarCamp.
  • 2nd Rule: You do blog about BarCamp.
  • 3rd Rule: If you want to present, you must write your topic and name in a presentation slot.
  • 4th Rule: Only three word intros.
  • 5th Rule: As many presentations at a time as facilities allow for.
  • 6th Rule: No pre-scheduled presentations, no tourists.
  • 7th Rule: Presentations will go on as long as they have to or until they run into another presentation slot.
  • 8th Rule: If this is your first time at BarCamp, you HAVE to present. (Ok, you don’t really HAVE to, but try to find someone to present with, or at least ask questions and be an interactive participant.)

Qui la pagina di CowoCamp 2013 su BarCamp.org.

Qui l’evento Facebook (perché sono siamo più nel 2005… ;-).

[Nella foto in alto: a volte ai Barcamp parlano anche i Nobel, come Aung San Suu Kyi al Barcamp Yangon, Myanmar, 2012] 

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Dopo aver letto questo articolo, ho subito ordinato The Filter Bubble di Eli Parisier.

E se volete un’anticipazione, guardate questo video del suo autore.

9 minuti che possono cambiare il vostro rapporto con il web, l’informazione, le relazioni. Praticamente con la vita.

[ted id=1091 lang=it]

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Sono tanti i motivi per cui penso che dovremmo tutti andare a mettere un chiodo nel nuovo #divanoXmanagua di Berto Salotti – cliente della mia agenzia, lo dico subito.

Mi pare quasi un dovere, partecipare a questo progetto di “costruzione condivisa” di un prodotto, con finalità formative verso i nostri giovani, e solidali verso i giovani di una parte sfortunata del mondo… ed ecco perché.

– Perché la co-creazione è uno dei punti fermi del marketing come si fa oggi, e dei nuovi scenari di consumo (son passati sei anni da quando l’ho letto la prima volta su Marketing Reloaded)

– Perché è un modo di valorizzare il lavoro artigiano italiano, in modi lontani dalla retorica (fare, non parlare) e dagli stanchi modelli del Made in Italy

– Perché punta sul futuro: il team di lavoro sarà costituito da tutti coloro che vorranno partecipare, ma avrà una componente fissa di studenti futuri artigiani + maestri con 40 anni di esperienza

– Perché ha un’anima solidale, prevede infatti di vendere il divano all’asta e devolverne il ricavato – tramite Terre des Hommes Italia – a una scuola per falegnami in un luogo dove i giovani non lottano solo per il lavoro, ma anche per la legalità, i diritti di base e spesso la vita stessa: il Mercado Mayoreo di Managua (Nicaragua)

– Perché aiuta l’economia di un territorio che ha data tanta ricchezza e lustro all’Italia, quindi a tutti noi: la Brianza

– Perché tutto questo viene da un’azienda, ed è straordinario, a mio parere, che ci siano imprenditori capaci di innovare – insieme al proprio business – pezzi di società che in un mondo ideale dovrebbero essere di area pubblica, per quanto incidono su economia, formazione, attenzione al territorio

Questo per dire che il 31 gennaio a Meda – e in tutte le successive date – la mia presenza non sarà solo professionale. E’ la fortuna di avere un lavoro che piace, e dei clienti che lo sanno valorizzare 🙂

Ora vi lascio con le parole di Paolo Ferrara, di Terre des Hommes, che vi descrive l’operazione.

[youtube zzr-YRihVt8]

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[youtube=http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=WwHW2AKRzeM]

In qualità di fondatore di Cowo, ho partecipato ai lavori del Comitato d’Indirizzo per Milano Capitale delle Startup, task force voluta da Comune di Milano e Camera di Commercio per sintetizzare l’approccio della città di Milano rispetto al tema della giovane impresa e – soprattutto  della nascita di nuove aziende.

A inizio lavoro ho scritto qui qualche considerazione, a lavoro concluso vorrei riportare ciò che mi è piaciuto in particolare, e anche una cosa che non condivido.

Mi è piaciuto:

– il dibattito sulla definizione di start up (e qui sono contento che quanto uscito dal gruppo milanese sia più ampio rispetto a quanto indicato dal decreto sviluppo del Governo, in altre parole, a Milano “Startup” è un concetto più aperto e inclusivo che nel resto d’Italia, come sottolinea anche l’assessore Tajani nel video)

– lavorare a un tavolo dov’erano seduti Comune, Camera di Commercio, due società di venture capital, due avvocati, il coordinatore dell’incubatore del Politecnico di Milano, spazi di coworking/incbazione

– portare avanti un’agenda di lavoro in modo efficiente, e qui vanno ringraziati gli ottimi Giacomo Biraghi e Alvise De Sanctis

Non mi è piaciuto:

– quando la discussione è andata sui luoghi di lavoro tipici della giovane impresa e mi sono sentito dire che la tendenza mondiale è quella di accentrare le energie in singoli luoghi; avrò una visione distorta per la diffusione capillare del progetto Cowo – presente in egual misura in grandi città e piccoli centri, e sempre a costi bassissimi o nulli – ma la penso esattamente al contrario: io credo che serva sostenibilità diffusa, sparsa sul tessuto territoriale e quindi aperta, non luoghi unici, soggetti a logiche gestionali impegnative (e a modalità di coinvolgimento per forza selettive).

In ogni caso, un grazie a tutti per il coinvolgimento, e l’augurio che il lavoro dia buoni frutti da subito, già nell’anno che inizia domani.

E per chi vuole leggere il documento, cliccando qui lo può scaricare.

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E’ passato un mese esatto dal post in cui davo voce alle mie perplessità sui grandi coworking, un po’ anche nate dalla notizia della chiusura di loosecubes, hub virtuale di coworking spaces newyorkese, abbondamente finanziata.

Vorrei essere chiaro: trovo bellissime le notizie sull’apertura di coworking con ingenti invesimenti alle spalle.

Bellissime e paurose.

Sarà che ho vissuto gli anni 80, con il loro disastroso rapporto denaro-valore, sarà che mi pare che l’enorme reazione di valore che ho visto accadere nei coworking (sostenibilità, relazioni professionali, incentivo alla nuova impresa, apertura trasversale di professioni e settori) sia anche frutto di una sana distanza dalle logiche del profitto, sarà non so cosa, io temo che i soldi rovinino tutto.

Io spero che non succeda.

Io spero che chi sta aprendo in questi giorni iniziative importanti abbia tutto il successo che desidera e anche di più (sarebbe anche un po’ mio, quel successo, dato che lavoro per il coworking da anni).

Ma spero anche che l’esigenza di far rientrare un investimento non chiuda mai la porta a un coworker.

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Oggi ho letto due notizie che, sommate, mi fanno pensare.

La prima è che nasce a Milano un superspazio di coworking di 3.000 metri quadrati con 250 postazioni, che ancor prima di aprire si annuncia come “ecosistema perfetto”.

La seconda è che Loosecubes, azienda di New York tra le prime a proporre servizi di online booking per coworking chiude i battenti, dopo aver ricevuto finanziamenti per qualche milione di dollari ed essere passata da 2 a 16 persone in pochissimo tempo.

E poi penso a Cowo, alla fatica che facciamo a coinvolgere i coworker uno ad uno, penso alle persone che entrano nel progetto con 350 sudati euro e penso a noi che facciamo il possibile perché li riguadagnino quanto prima.

Penso al nostro ecosistema, che non mi sognerei mai di definire “perfetto”. (Sì, penso anche  all’importanza della comunicazione). Penso che non mi va di associare l’idea del coworking a un’azienda che può fallire.

Quasi quasi penso che la Cowo Economy sia meglio dei metri quadrati, e forse anche dei milioni di dollari (visto il risultato che producono).

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=8I0bdMKf-NM]

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Ho appena ricevuto una cartella Equitalia a causa dell’inadeguatezza del software bancario della mia banca, che dopo ogni pagamento mi conferma la corretta effettuazione dello stesso con un bell’avviso in colore vivace e carattere in grassetto.

E dopo, con un bottone molto più piccolo, dal colore giallo tenue, mi sussurra… di “inoltrare il flusso dispositivo [!] cliccando sull’apposito bottone… “invia a Banca”.

Ancora per quanto tempo dovremo subire il lavoro di questi incapaci e pagarne i danni?

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