Perché ascoltare. (Dal libro).
Continuo con la pubblicazione di qualche stralcio del libro, come già fatto (tra l’altro, c’è un preliminare, cauto interesse da parte di un editore, speriamo bene).
Ricordo che tutto questo nasce dall’esperienza del blog Aziende con le Orecchie.
Se qualcuno ha voglia di darmi un parere, apprezzerò moltissimo.
Nella stesura attuale, questa paginetta apre il testo. (Attenzione: Se conoscete l’argomento, di sicuro vi annoierete. Qui si parte dalle basi…)
Perché ascoltare.
Il marketing ha sempre suggerito alle aziende come parlare.
La comunicazione d’impresa, figlia del marketing, è sempre stata una specie di mostro senza orecchie e una bocca enorme.
Ascoltare non è mai stato nemmeno previsto, se non nelle forme sublimate e aziendocentriche delle ricerche di mercato.Poi arrivò Internet.
I destinatari dei messaggi delle imprese (definiti “target”, bersaglio, termine che la dice lunga sulla considerazione di cui godevano) inziarono a parlare tra di loro.
Di tutto. Prodotti e marche compresi.
Sorpresa!
Bastarono pochissimi anni perché l’azienda non fosse più la protagonista incontrastata della sua comunicazione, l’unica voce in grado di farsi sentire davvero riguardo ai suoi temi.
Iniziò a diffondersi un certo brusìo di fondo.
Ai colpi di cannone degli spot tv e ai mitragliamenti delle campagne multimediali, le persone comuni iniziarono a contrapporre il cicaleccio di fondo, una chiacchiera diffusa proveniente dal basso, e piuttosto indifferente ai botti che aveva sopra la testa.Stimolate da Internet e dalle sue tecnologie abilitanti, blog in primis, le conversazioni personali uscivano dalla sfera dei contatti personali, per entrare nella “big conversation” illimitata e globale che chiunque può trovare in rete su qualsiasi argomento.
E tra gli argomenti più gettonati – naturalmente – prodotti e marche.
In questo panorama, le scelte che un’azienda si trova davanti sono due: prendere atto di queste conversazioni (e magari iniziare a seguirle senza escludere l’idea di prendere la parola), oppure far finta di nulla e lasciare che i discorsi proseguano senza la sua presenza.
La seconda ipotesi è ovviamente riservata a chi non ha a cuore le sorti del proprio business. Per tutti gli altri, l’ipotesi dell’ascolto diventa ineludibile.
Fortunatamente per le imprese, le tecnologie abilitanti sono qui per tutti, e quindi le possibilità date ai consumatori sono offerte anche ad esse, e le condizioni per accedervi sono assolutamente sostenibili.
A patto di riuscire a fare il passo.
Nel momento in cui l’ascolto dei consumatori diventa parte della strategia aziendale, infatti, è come se l’azienda facesse un piccolo passo indietro nella gestione delle proprie sorti, come se decidesse di far sedere in consiglio d’amministrazione anche un paio di signore Pina e qualche sig. Mario.
Il vantaggio derivante da questa minimale e relativa perdita di controllo, però, è ampiamente ripagante.
Per la prima volta possono parlare direttamente con il proprio mercato.
“Direttamente” significa il manager o l’imprenditore a contatto con la signora Pina o il sig. Mario.
Non si tratta di comunicati stampa o di pubblicità ben scritte.
Si tratta dell’imprenditore (non dell’impresa: dell’imprenditore, o comunque di persone vere) faccia a faccia con il consumatore, in uno scambio diretto, e a volte anche immediato.
Anzi, più propriamente, si tratta dell’imprenditore zitto e con le orecchie ben aperte davanti al suo consumatore che gli parla.Può essere un trauma.
Ma può anche essere il ritorno di una grande storia d’amore.
Non dimentichiamo che le persone amano i prodotti e chi li crea, se questi sanno comportarsi in modo da meritarlo.E niente può raccontare un’azienda meglio di Internet, grazie alla conversazione che rende possibile.
Solo chi ascolta può capire questa cosa, in tutto il suo significato.
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